Un patto nazionale per la Calabria

Mi ha detto un giovane che ho incontrato di recente  a Cerzeto: “Non parli di  morale, parli del lavoro che non c’è”. Figurarsi se io, imprenditore  non di quelli a cui la Regione affida milioni  di euro e scappa, o di quelli che sono parte integrante delle reti affaristiche – clientelari (uno dei buchi neri della Calabria) con cui non ho nulla da spartire, non ho a cuore il tema del lavoro. Però c’è una ‘questione morale’ in Calabria  con cui dobbiamo fare i conti.  Quanto accade nella politica, dilaniata da fazioni che si contendono la leadership  non sulla base di progetti per la Calabria; la separazione fra gli interessi della politica e quelli del  sistema produttivo e sociale in una terra  che lo studio dell’altro giorno di Confindustria ha definito l’ultima per sviluppo del Paese; l’arroccamento della politica per ostacolare ogni innovazione e qualsiasi presenza (le donne  soprattutto)  che non sia parte del suo vecchio gioco e non parli il suo  linguaggio.  Ecco, questi sono soltanto alcuni ma emblematici fatti gravi  che ci debbono far riflettere….

….L’appello agli onesti,  che lancio che lancio da quando ho scelto di impegnarmi per dare una speranza ai calabresi,  ha  un senso speciale   perché la nomenclatura in Calabria  sta stroncando non solo lo sviluppo possibile, ma la nostra credibilità in Italia e in Europa. Con questa classe dirigente ci aspetta solo il peggio.  Se l’abbiamo capito, dunque, non è tempo di dire e non dire, di trovare escamotage o puntigli. Occorre fare una battaglia per svecchiare la Calabria e rimetterla in carreggiata. Ecco perché, da questo punto di vista, vi è  l’esigenza di riscoprire un’etica pubblica. La vecchia politica non la include nel suo  agire, perché solo cosi può dar corso alla sua  inconcludenza amministrativa. In tanti provvedimenti assunti (non ultimo le primarie di due partiti che debbono pagare tutti i calabresi),  sembra quasi che i politici si sentano al di sopra della legge e, comunque, non obbligati a dar conto ai calabresi di come spendono i nostri soldi.  Basti guardare a  cosa accade nella sanità anche in questi giorni: si grida al successo sol perché il Governo non ha commissariato la sanità. Siamo allo scandalo nello scandalo. Si considerano i calabresi come delle pecore matte da prendere in giro. La  sanità affoga in  un mare di debiti, neppure quantificati,   le prestazioni offerte per i cittadini sono da terzo mondo, la politica non dispone ancora neanche di un piano sanitario, eppure ci si compiace di non essere stati commissariati. Mai come in questo caso la politica evidenzia i tratti di un sistema paralizzato e chiuso: dinanzi a un fallimento come quello della sanità l’amministratore delegato di un’impresa privata avrebbe dovuto lasciare il posto su due piedi e il successore dovrebbe immediatamente approntare un piano industriale di rientro dal deficit e di rilancio del settore. Qui non si tratta solo della crisi della decisione, però, ma di un modo di procedere che tende a salvare le poltrone facendone pagare il prezzo alla Calabria. E torniamo alla questione morale.   Decisamente il problema della disoccupazione è enorme, come stringenti sono altri problemi a incominciare dall’irrisolta emergenza ambientale,  ma attenzione a non separarli, in questa congiuntura,  dalla questione morale che si coglie nel rapporto patologico  tra questa politica con la società civile. In Calabria si assiste oggi ad una inquietante  riduzione dello spirito pubblico collettivo. Si ha: un senso delle Istituzioni scarso o inesistente, una bassa qualità delle classi dirigenti, l’erosione della credibilità del sistema-regione Tutto ciò significa:  sconfitta della democrazia,   a tutto vantaggio dei poteri illegali.   Se in Italia la morale è in conflitto  con la politica,  in Calabria  assistiamo a un oscuramento della morale e al prevalere, in alcune circostanze, del potere nudo e crudo, che s’impone nelle forme più dirette ed a tratti arrogante. L’altro giorno leggevo di uno studio secondo cui nel XXI secolo l’Asia sarà il centro del mondo, mentre l’America e l’Europa scivoleranno in periferia, io ho pensato subito alla mia regione. Se scivolano in periferia l’America e l’Europa, la Calabria in quale periferia finirà? Mafia, inquinamenti ambientali, disoccupazione generale, riduzione degli investimenti e consumi sproporzionati, crollo della produttività e incapacità totale da parte della Regione di dotarsi di qualsiasi politica per lo sviluppo, persino di una politica per il turismo che valorizzi beni di grande valore come i Bronzi di Riace scoperti 30 anni fa. Questo è il quadro.  Addirittura, se le cose non cambiano, ci sarà ancora un sistema Regione chiamato Calabria? O di esso rimarrà solo una vaga idea, perché si sarà  trasformato, nel frattempo, in un’area senza sviluppo, senza regole, con un’infima qualità della vita, con ampie sacche del territorio inquinate e con una delle mafia più pericolose?

Non si diventa la Somalia solo per i rifiuti tossici, ma   si diventa come la Somalia per  l’estrema povertà di larghe fasce della popolazione, per l’erosione di affidabilità del sistema istituzionale ed economico, per l’assenza di regole e per l’alto tasso di corruzione, nonché per la presenza di una criminalità invasiva e ostativa a qualsiasi forma di sviluppo. Dico questo, non per fare allarmismi, ma per far capire meglio qual è il rischio che corriamo. Se  se non vogliamo pentirci tra qualche mese di aver agevolato i soliti politici alla guida della nostra Regione, è  tempo di fare scelte, di mettere da parte antipatie o polemiche individuali e pensare che la Calabria  chiede aiuto ed  ha bisogno del meglio dei suoi figli. Succedono cose, in Calabria, davvero singolari che meritano l’attenzione dell’Italia. Per esempio in Italia si annunciano tagli agli enti locali  e lo stesso Parlamento di tanto in tanto ipotizza un ridimensionamento dei parlamentari.  Ma in Calabria i consiglieri regionali arrivano ad oltre 65, includendo i consiglieri supplenti ed i sottosegretari. Nella scorsa legislatura erano 40, oggi 50 domani 65. Uno scandalo.   Indico  aspetti e decisioni della vecchia politica che da 20 anni almeno si alterna, con evidenti inciuci e commistioni, tra centrodestra e centrosinistra, alla guida della Regione. Nell’ ipertrofico apparato della Regione Calabria che si regge su  bilanci orali, perché ancora in Calabria –  dice il Ministero dell’Economia – non c’è la tradizione dei bilanci scritti,  si introduce  la figura del  Consigliere Regionale supplente, e, in una Regione allo sfascio e  riempita fino all’orlo di consulenti/signorsì, buoni per primarie e  campagne elettorali, s’introduce la figura del Sottosegretario.  Non bastano Segretari Generali, Direttori Generali a  iosa, Capigabinetto, Portavoce, Capistruttura, Consulenti ed Esperti. Tutto ciò,  mentre sono state azzerate la Consulta per il Controllo delle Leggi,  cui avrebbero dovuto far parte esperti  di diritto, magistrati e alte personalità,  la Consulta per l’Ambiente, quando  la Regione  lamenta il disinteresse del Governo su questo fronte assai critico, e il Comitato  per la concertazione sociale.  Mi chiedono i tanti che mi incontrano, cosa farei subito  io da Presidente. Non ho dubbi: : “via la spesa pubblica inutile”. Ecco il mio slogan per una Regione che cambia.  Aboliamo tutti gli Enti inutili, di riffa o di raffa gestiti o finanziati  dalla Regione, che, al momento, assorbono un’infinità di  risorse ma non servono allo sviluppo.  Servono per alimentare le clientele del mercato politico che inghiotte risorse pubbliche regionali, nazionali e comunitarie, per tenere vivo il meccanismo del consenso politico-clientelare che qui da noi ha costi spaventosi  neppure quantificabili.

Ma ciò a cui occorrerà lavorare immediatamente, con l’aiuto della Calabria migliore, è la stesura di  un Patto nazionale per la Calabria, regione  che dentro un Sud a macchia di leopardo, è un “caso” a forte rischio per la democrazia.  Lo dicono gli indicatori economici più seri, la Confindustria,  le statistiche, le previsioni, l’analisi di quasi tutti gli osservatori di fatti politici ed economici. E’ d’altronde illusorio ritenere che la Calabria possa vincere i suoi drammi sociali da sola. Ancora per una fase che potrà non essere breve, dovremo richiedere e fare buon uso della solidarietà nazionale ed europea. Abbiamo problemi strutturali annosi. Alla condizione, però, che gli aiuti esterni siano indirizzati  non a scopi indifferenziati o assistenziali, ma all’ampliamento e all’ispessimento della base produttiva.  Un Patto per la Calabria col Paese, lungo direttrici programmatiche in cui lo sviluppo viaggi assieme ad una nuova moralità della politica.  Noi dobbiamo liberare la Calabria da una sindrome di autoreferenzialità e aprirla ai mercati e indurre le sue intelligenze al confronto col resto del mondo. Ci arricchiremo noi e si arricchiranno i nostri interlocutori. Abbattendo la spesa improduttiva,  si può fare, avendo sempre chiaro l’obiettivo di ampliare  l’occupazione perché non possiamo consentire la Calabria diventi di punto in bianco una polveriera fuori controllo,  un investimento su   alcuni importanti progetti innovativi che possano significare sviluppo produttivo. L’assistenza che la Calabria ha avuto finora, attraverso canali politici, ha depresso molte delle sue forze, istituzionali, sociali, culturali. Dobbiamo avere l’energia, la voglia e la perseveranza di voltar pagina. Capendo che lo sviluppo deve essere moderno, autentico e che per essere tale deve incentrarsi su un sistema economico e sociale in grado di  competere nel mercato nazionale ed europeo.  Se la Regione dimostra serietà, impiegando bene le risorse e facendo vedere al Paese i risultati di cui siamo capaci, altri, a iniziare dal Governo, non potranno pretendere di collocare nel nostro territorio soltanto  opere faraoniche multimiliardarie che non servono al Paese  e che alla Calabria rischiano di provocare uno sconvolgimento ambientale d’inaudite proporzioni.

La Calabria, per rivendicare sul serio autonomia e piena autodeterminazione, deve ridurre lo scarto tra produzione e consumi ed eliminare i tratti del sottosviluppo e della dipendenza economica che connotano il nostro sistema produttivo. E’ la porta stretta attraverso cui dobbiamo infilarci, ma solo se lo facciamo assieme, sapendo che si corrono anche dei rischi, lo potremo fare.  Rappresentiamo una goccia  dell’export nazionale, mentre assorbiamo una montagna di risorse nazionali e comunitarie che non sono finalizzati a irrobustire il sistema produttivo con  progettualità ben individuate e di sicuro impatto occupazionale, perché oggi la politica pensa solo a circondarsi di signorsì da sguinzagliare nella caccia ai voti. Questo è l’unico obiettivo cui centrodestra e centrosinistra hanno pensato in tutti questi anni. Che ha, in buona parte, inquinato anche la società civile, perché diciamocelo con franchezza, la politica ha colpe spaventose, ma anche una parte di società civile ha contribuito a rendere brutta una regione dalle bellezze meravigliose. Abusivismo e caos urbanistico, raccomandazioni, sussidi falsi o immeritati, lavoro nero.

L’attuale classe  politica, di destra e di sinistra, non predilige la competenza ed il merito, perché a utilizzare le risorse finanziarie, con lo scopo di ampliare i voti di scambio, è sufficiente il personale del sottobosco politico, che poi, a sua volta, è utilizzato largamente per finalità elettorali.  Non a caso la Regione Calabria come Ente pubblico, è priva di un’organizzazione burocratica autorevole e in grado  di ritagliarsi  spazi di autonomia rispetto ai desiderata della politica; questa commistione, che significa poi “dipendenza” dalla politica, ma anche potere di ricatto sulla politica, rende fragile la Regione dinanzi alle emergenze che esplodono. La sanità ne è un chiaro esempio: il Dipartimento dell’Assessorato alla Sanità è un Palazzaccio gravido di segreti e misteri, incapace di risolvere qualsiasi problematica,   tant’è che per ricostruire il debito l’advisor ha dovuto, caso eccezionale forse in Europa, chiedere l’aiuto dei creditori.

Quale affidabilità può avere un sistema del genere per i cittadini? Siamo allo sfascio. Il  fallimento nell’utilizzazione dei fondi comunitari – aldilà di valutazioni più o meno positive su singoli aspetti  e aldilà  della stessa capacità di spendere i soldi (che però ha un senso se incide durevolmente nel territorio ma non ne ha alcuno se invece risulta essere a pioggia  e priva della capacità di modificare lo status quo)  consiste in questo: nonostante decenni di finanziamenti comunitari, la Calabria ha un divario di sviluppo rispetto alle altre regioni italiane ed europee molto amplio e non è riuscita a stringerlo.

Con la Campania, la Puglia e la Sicilia, la nostra regione rappresenta il buco nero del Paese, infatti il Sud non è tutto uguale, l’Abruzzo, la Basilicata, la Sardegna e in parte la Puglia viaggiano dentro i canoni dello sviluppo e non è un caso se in queste ultime regioni le relazioni politica/affari/criminalità sono assai meno incidenti. Il sovradimensionamento dell’agricoltura e la presenza nel sistema-Calabria di imprese piccolissime a cui sono precluse economie di scale, denotano la polverizzazione inefficiente dell’apparato produttivo calabrese su cui occorre incidere con risolutezza. Noi abbiamo bisogno di imprese più grandi (sono poche quelle che superano i 100 dipendenti in Calabria), in grado di essere presenti nei segmenti innovativi e dinamici e aperti alla competizione nazionale ed internazionale. Dobbiamo sconfiggere il nanismo imprenditoriale. La mafia:  un cancro per il Sud e per chi ci vive. Ma come può la parte migliore del Sud fronteggiarla, se dal centro si premia il peggio del Sud, se i flussi di danaro pubblico si disperdono?  Qui è lo Stato   che ha fallito.  E allora: un Paese normale dovrebbe cogliere l’occasione della ricorrenza del suo 150mo compleanno  per incidere con politiche attive nel divario Nord/Sud. Siamo certi che l’Unità sia stata un bene per tutti e che essa costituisce un bene da difendere e rafforzare, ma come non vedere le forti tendenze disgregatrici che si agitano sul territorio e il potenziale secessionistico della Lega che ha la golden share sul  Governo? I dati forniti dalla Banca d’Italia sul Sud sono sconfortanti, qui occorre una strategia nuova che al momento però non c’è per la valorizzazione del Mezzogiorno nell’interesse di tutto il Paese che altrimenti non può recitare alcuna politica dignitosa in Europa.

Certo, per fare certi discorsi critici noi meridionali però dobbiamo fare una serrata autocritica. Qui non trovo di meglio che citare le parole del Presidente della Repubblica, secondo il quale il bilancio delle istituzionali  regionali nel Mezzogiorno è negativo (fatto salvo il caso della Basilicata). Dice Napolitano che “le classi dirigenti del Mezzogiorno non hanno retto alla prova dell’autogoverno. Chi si è messo alla guida delle Regione del Sud  nel corso di lunghi anni, ha avuto responsabilità che non si possono sottacere”.  Parole sacrosante, che debbono significare, io me lo auguro, che la politica nazionale guarderà a quanto accade nel Sud con un approccio meno compiacente verso i cacicchi, i capobastone e i detentori del consenso conquistato con l’uso distorto delle risorse pubbliche. Hanno costruito carriere politiche spesso immeritate e hanno fatto il deserto specie in regioni come la Calabria. Serve uno scatto di volontà nel Sud e da parte del Sud, io aggiungo: oggi il meglio dello Stato deve fare un patto col meglio del Sud, altrimenti non solo il Sud non si salva ma l’Italia si spezza.

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