La Calabria al bivio: o si cambia o non c’è scampo – Intervento pubblicato da “il Quotidiano della Calabria” del 5 gennaio 2010
Ho apprezzato lo spirito dell’editoriale di fine anno del direttore del Quotidiano della Calabria Matteo Cosenza. Non solo perché, nell’augurarsi un’inversione di rotta nella costruzione di prospettive autentiche per il Sud (e non – assistenziali e clientelari) ha avuto buona compagnia, dato che il “messaggio” del Presidente della Repubblica – che non finiremo mai di ringraziare per l’attenzione che ci riserva – ha insistito, in alcuni passaggi, sullo stesso tema; ma anche perché, contrariamente a quanto asserisce il presidente Loiero, proprio il futuro della Calabria, vista l’ampia e documentata (Banca d’Italia, Svimez, Confindustria) criticità del presente, è l’incognita più grave del momento….
….La Lombardia – dicono le rilevazioni sui redditi delle persone fisiche 2008 rese pubbliche l’altro giorno – è la regione più ricca e la Calabria la più povera. E questo non è uno slogan. Come sanno bene i calabresi che sbarcano il lunario alla meglio e gli imprenditori che tirano la carretta con sacrifici e lotte quotidiane. Abbiamo settori esposti ad ogni vento e fuori controllo come la sanità i cui effetti disastrosi ricadono sulle spalle dei calabresi. Una sanità il cui debito supera i 2 milioni di euro (contenziosi a parte) e ciononostante, pur sapendo che negli ospedali si muore e che le inefficienze organizzative sono all’ordine del giorno, la Regione non è riuscita a darsi – in cinque anni – neppure un Piano sanitario. Sul “Piano Casa” l’unica Regione d’Italia che non ha legiferato è la Calabria, che, infatti, è stata commissariata e non si è trattato di una promozione; e meno male, perché se fosse passato il disegno di legge che, in extremis, il presidente Loiero ha portato alla discussione dell’Aula a fine anno, saltando ogni iter formale e l’esame delle Commissioni, per la Calabria (viste le denunce pubbliche dell’on. Pasquale Tripodi) sarebbero stati dolori. Paradossalmente, l’assist per una riflessione seria sui problemi della Calabria ce lo fornisce, ad inizio anno, il ministro dell’Interno, il leghista Maroni, che punta l’indice sulla spesa pubblica distorta nel Mezzogiorno. Da qui, esattamente da com’è stato finora amministrato il danaro pubblico, a mio avviso occorre prendere le mosse, se si vuole dare una sterzata in Calabria nella prossima legislatura.
E’, questa, la porta stretta che dobbiamo attraversare, se non vogliamo chiudere la Regione Calabria ormai al limite della bancarotta, altro che prospettive culturali per i giovani. Una Regione, tra l’altro, giusto per stare sulla cultura, che si è accorta di uno scrittore calabrese come Strati, le cui opere sono imprescindibili per leggere il Sud e il rapporto Sud/Paese, soltanto quando il Quotidiano ha pubblicato il suo accorato appello, ma che non è stata in grado di valorizzarne la figura, cosi come non è stata capace di tessere un rapporto soddisfacente con la Calabria della diaspora. Pezzi di Calabria sparsi nel mondo con cui la Regione non ha alcun dialogo costruttivo che sia visibile, quantificabile ed oggetto di disamina oggettiva. Ma è l’argomento spesa pubblica a pioggia e senza alcuna progetto d’insieme, il vero nodo su cui i calabresi debbono avere la pazienza di riflettere. Se la spesa non è finalizzata ed è improduttiva, infatti, tutto è possibile: enti inutili a iosa, consulenze a perdere di cui non si conosco i nomi né l’utilità. Mi meraviglia come, tuttora, l’attenzione su questo nodo non interessi, come dovrebbe, i vertici dei partiti nazionali del centrosinistra e lo stesso sindacato. Se non riqualifichiamo la spesa, in Calabria soprattutto, finalizzandola ad investimenti produttivi, non avremo mai neppure la speranza di poter cambiare. D’altronde quali speranze, se la Regione Calabria – lo asseriscono i tecnici del Ministero dell’Economia – è l’unica tra le Regioni italiane a non avere un bilancio scritto, “ma rappresenta l’unico caso di Regione in cui il bilancio è orale”?
Sui fondi comunitari purtroppo il successo è solo di facciata. Siamo ancora una regione depressa dell’Obiettivo 1 per l’Europa: anche questo è un dato certo, non chiacchiere. Il fallimento nell’utilizzazione dei fondi comunitari, di cui sono responsabili questa Giunta di centrosinistra e la Precedente di centrodestra – aldilà di valutazioni più o meno positive su singoli aspetti e aldilà della stessa capacità di spendere i soldi (che però ha un senso se incide durevolmente nel territorio ma non ne ha alcuno se invece risulta essere a pioggia e priva della capacità di modificare lo status quo), consiste in questo: nonostante decenni di finanziamenti comunitari, la Calabria ha un divario di sviluppo rispetto alle altre regioni italiane ed europee molto amplio e non è riuscita a stringerlo. Anzi, secondo uno studio di Confindustria, nonostante i fondi comunitari, il dislivello Nord/Sud non solo non è stato ridotto, ma addirittura è aumentato, peggio è accaduto inCalabria che arretra persino rispetto alle altre regioni del Sud. Con la Campania, la Puglia e la Sicilia, la nostra regione rappresenta il buco nero del Paese, infatti il Sud non è tutto uguale, l’Abruzzo, la Basilicata, la Sardegna e in parte la Puglia viaggiano dentro i canoni dello sviluppo e non è un caso se in queste ultime regioni le relazioni politica/affari/criminalità sono assai meno incidenti. In realtà, la sfida è alta per l’intero Mezzogiorno. E’ una sfida anzitutto tra vecchio e nuovo. In Calabria questo scontro è più limaccioso e sfuggente, ma non meno pericoloso. Siamo l’ultima delle regioni de’Europa per ricchezza e qualità della vita. Dove può succedere, come a Kabul, di tutto. Bambini uccisi mentre giocano a calcio, banditi che minacciano gli operai della Sa/Rc, ammazzamenti in pieno giorno, intimidazioni agli amministratori locali e agli imprenditori, lutti che deprimono il desiderio di vivere in una terra a democrazia fragile. Rispetto a questi fatti la risposta della Regione è di poco conto, la sua credibilità è pressoché zero e la sfiducia dei cittadini nel suo operato non ha bisogno di commenti. Inoltre: non si dica che questa è “la Regione delle regole”, sarebbe una presa in giro. Quali regole? Le primarie approvate con una legge impugnata dal Governo (insieme a tantissime altre in verità) per manifesta anticostituzionalità e in seguito approvate con l’intento di mettere le mani nelle tasche dei calabresi per la modica cifra di 2, 5 miliardi? O le regole statutarie che hanno portato a oltre 60 i Consiglieri regionali?
Mentre lo Stato dà il via al taglio di assessori e consiglieri negli enti locali, pronuncia il de profundis per le comunità montane, la Regione Calabria – ultima regione d’Europa per Pil e qualità della vita – porta i Consiglieri regionali, con una riforma ad hoc dello Statuto, da 50 (nella scorsa legislatura erano 40) a circa 65, quando, a voler essere generosi, di Consiglieri regionali in Calabria ne servirebbero non più di 30. Bel modo di interpretare il processo riformatore. Sono state cancellate la Consulta per il Controllo delle Leggi (cui avrebbero dovuto far parte esperti di diritto, magistrati e alte personalità nella speranza di limitare i danni di una legislazione spesso abborracciata e lacunosa), la Consulta per l’Ambiente (quando la Regione lamenta il disinteresse del Governo su questo fronte assai critico) e il Comitato per la concertazione sociale (concertazione che, come nel caso della sanità e del Piano di rientro è stata violata sistematicamente). Ma non è tutto, lo stesso Parlamento prevede la riduzione dei parlamentari ma la Regione del presidente Loiero introduce addirittura i Consiglieri regionali supplenti ed i Sottosegretari, che si sommano alla caterva di consulenti, direttori generali, capistruttura, esperti (un direttore esterno persino per il Burc e un Sottosegretario per le riforme). In questo clima, tuttavia, il desiderio di cambiare è per fortuna forte. Per chi non è un “prenditore” opporsi a questa brutta politica è una necessità. La legalità è marginale ed in Calabria vigono codici che non sono quelli dello Stato. Dinanzi a tutto ciò, sorprende vedere nel dibattito nazionale che c’è chi teme che il Sud col federalismo fiscale possa inabissarsi, perché alcune parti del Sud sono già fuori da tutto ciò che è Europa: concorrenza democratica, competizione civile. I miei cavalli di battaglia sono da sempre lo sviluppo e la legalità. Due motivi che si scontrano con la cattiva politica. Perciò ora io chiedo ai calabresi: vogliamo che niente cambi, tenendoci ancora questa classe politica e subendo la commistione d’interessi tra politicanti, “prenditori” e malavitosi? La condizione sociale della Calabria è straordinaria, occorrono risposte forti con l’obiettivo di ridare prospettive ai giovani e ossigeno all’economia stagnante: da qui il mio impegno che certa politica vede male perché io non sono uno di loro. Ho nutrito qualche speranza sulla sensibilità di taluni politici nazionali, ma invano. Tocca a noi interrogarci e agire. Se la nostra risposta è sbagliata o perdente, non c’è scampo. Nessuno da Roma intende occuparsi della Calabria che è percepita, a causa della sua classe politica, come un’appestata. Siamo noi calabresi gli artefici del nostro futuro. Il Sud che vedo io da imprenditore è perso per lo Stato che lo ha usato: prima l’industrializzazione del Nord, poi le clientele per le cordate pentapartitiche e, insieme con altri centri di potere, per lucrare le ingenti risorse affluite nelle tasche di pochi. Gli slogan sul Ponte dello Stretto e della Banca per il Sud, rivelano una scarsa volontà del Governo di mettere mano ai veri problemi. E poi l’ostacolo delle mafie: un cancro. Ma come può la parte migliore del Sud fronteggiarla, se dal centro si premia il peggio del Sud e i flussi di danaro pubblico si disperdono? Lo Stato dovrebbe aiutare quello che nell’inferno del Sud resiste e che, se sostenuto, potrebbe contrastare l’illegalità. Il Sud è parte della Repubblica italiana, ma questa Repubblica dimostra di essere smemorata. Se vogliamo tentare di svoltare, dobbiamo organizzare il meglio che vi è nello Stato con il meglio che vi è nel Sud. Può sembrare retorica, ma è la verità.